Applausi a Reggio per l’insediamento di Morosini. Il neo arcivescovo: «Basta connivenze col malaffare»

Con le parole di Paolo (“Approdammo a Siracusa, dove rimanemmo tre giorni e di qui, costeggiando, giungemmo a Reggio”) , il neo-arcivescovo Giuseppe Fiorini Morosini ha dato inizio ad nuovo cammino pastorale nella città dello Stretto. Nominato il 13 luglio, si è insediato con la solenne concelebrazione eucaristica svoltasi in cattedrale. Ad accoglierlo una folla di persone che ha applaudito il suo ingresso in città.

«Oggi più che mai un vescovo che inizia la sua missione in una diocesi deve guardare alle origini della missione della Chiesa – ha detto durante l’omelia- quando la Chiesa era ancora piccolo seme e la sua forza era l’annuncio di Cristo e la testimonianza del Vangelo». E mentre ringraziava tutti, dal popolo che lo ha accolto in un corale abbraccio alle autorità, i rappresentanti delle varie istituzioni, i sindaci della diocesi, il sindaco di Locri, sacerdoti, diaconi e in modo particolare monsignor Vittorio Mondello che gli ha passato il bastone pastorale, Morosini ha precisato: «Questo è l’incontro di partenza, che prelude a quelli futuri più personalizzati, durante i quali cercherò di ascoltare e di parlare, cuore a cuore, per capirci ed entrare in sintonia».

Con affetto ed in musica con il coro della diocesi e i vari direttori che si sono alternati coordinati da monsignor Giorgio Costantino e accompagnati all’organo da Francesco Saporita, Morosini ha precisato fortemente il compito di «aiutare i suoi fedeli a guardare la propria fede e la propria vita» e nei confronti della Chiesa ha detto: «Nella società secolarizzata la Chiesa è accolta e osannata per il suo servizio di carità. Ma a noi ciò non basta. Essa, come ha ricordato papa Francesco, non è una onlus di beneficenza, ma una comunità di fede che annuncia Gesù morto e risorto».

Il lavoro, le istituzioni, l’emigrazione sono stati i temi cardini tracciati da Morosini: «Oggi il disagio di tante famiglie per la perdita del lavoro e per la crisi drammatica che viviamo interpella tutti. Nessuna istituzione può giocare sulla pelle della gente, ma assieme bisogna impegnarsi per attenuare il disagio, procurando soprattutto il lavoro in regione, per frenare l’emigrazione delle menti giovanili più acute». Accorato è stato l’invito nei confronti dei laici cattolici per la soluzione dei problemi sociali e politici che affliggono il nostro territorio: «Lo dovete fare perché cittadini di questo Stato e perché competenti nei vari settori del sapere; operate nelle scuole, nelle università, negli ospedali, nelle aule dei tribunali, nello sport, nei laboratori scientifici, nelle amministrazioni, nella politica».

Fondamentale è l’impegno per il bene comune ed ancora maggiormente «i problemi della secolarizzazione in Calabria sono esasperati dalla depressione economica e sociale, e soprattutto dalla piaga della ‘ndrangheta. Di questi mali siamo in parte responsabili anche noi cattolici. Da anni lo stiamo riconoscendo e siamo corsi ai ripari con interventi mirati da parte del magistero dei Vescovi, con iniziative coraggiose da parte di preti e di laici, che molte volte hanno pagato di persona, ma soprattutto con il lavoro silenzioso svolto nelle parrocchie, del quale nessuno si accorge e sul quale i media non parlano perché disinteressati a capire la vera azione della Chiesa, ma a divulgare solo le notizie che fanno scalpore. Diciamo basta, pertanto, agli improvvisati teologi, canonisti e pastoralisti che presumono di stabilire i connotati del prete-antimafia per esaltare così i propri idoli dimenticando il lavoro incisivo e paziente di centinaia di sacerdoti sulla breccia. Nonostante questo sforzo pluridecennale, si attacca ancora la Chiesa rimproverandola di non fare abbastanza contro la ‘ndrangheta, quasi che responsabile della sua mancata sconfitta sia solo la Chiesa, che chiude occhi, che perdona, che scende a patti per i vantaggi economici che ne derivano. C’è poi una grave leggerezza nell’affrontare i problemi, per cui il semplice sospetto su di un uomo di Chiesa provoca la condanna generalizzata di tutta la Chiesa. Cosa che non si verifica per nessun’altra istituzione. Noi diciamo basta a questi attacchi sistematici, studiati al tavolino nel contesto della lotta intrapresa dalla società secolarizzata contro la Chiesa, e invitiamo tutte le istituzioni a fare lo stesso esame di coscienza che ha fatto la Chiesa e a riconoscere le proprie responsabilità». Un tema, questo, già affrontato durante il commiato da Locri.

«La Chiesa- ha proseguito- continuerà a dare il suo contributo in questa lotta, anzitutto allontanando ogni minimo dubbio di connivenza diretta o indiretta dei suoi rappresentanti con il malaffare; ci impegneremo poi nella formazione delle coscienze perché non ci sia commistione tra fede e malavita. Ma non si pretenda che sia la Chiesa a distribuire le etichette di mafioso, sulla base del comune sentire della gente, né si presuma di dire alla Chiesa ciò che deve fare: se perdonare o condannare, se ammettere ai sacramenti o rifiutarli. Basta su queste indebite ingerenze. Ogni istituzione svolga il suo dovere nel proprio ambito e rispetti quello altrui». Largo spazio dovrà essere dato alla legalità, al rispetto delle istituzioni e delle leggi dello Stato. Gli anni passati a Locri, dove era stato nominato nel 2008 vescovo, hanno fatto capire «che per sconfiggere la malavita organizzata non basta una politica repressiva, anche se necessaria, ma occorre unirla ad una politica di impegno a favore del cittadino. Reagiamo con forza alla ‘ndrangheta; denunciamola con coraggio, perché la paura è una catena per la nostra libertà, rifiutiamo con decisione i benefici che possiamo trarre dal suo aiuto e dal nostro silenzio. La ‘ndrangheta è un male dal quale o si esce tutti assieme o non si esce mai. A tutti coloro che si dicono credenti e lavorano nella politica e nella pubblica amministrazione l’invito ad essere trasparenti, rispettosi della legalità e del bene comune». (Quotidiano della Calabria)

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